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Identità Surreali
Identità Surreali Dieci foto di Lucia Giacani di Angela Madesani
La mia conoscenza con Lucia Giacani è iniziata in occasione di una mostra che ho curato, Sguardi di intesa La moda fotografata dalle donne1, dove l’ho invitata, dopo che l’editore del catalogo mi aveva segnalato il suo lavoro. Sono stata immediatamente catturata dall’essenza, dalla pulizia, dall’atmosfera che popolava le sue fotografie. Detto fatto, ho scelto quattro immagini per la rassegna. Poi ci siamo conosciute. Sono rimasta colpita dal garbo, dalla gentilezza, con cui si muoveva e con cui spiegava il suo lavoro, sempre sicura di sé. Mi sono trovata di fronte a una donna determinata, che ha costruito la sua carriera, il suo cammino passo dopo passo, lavorando molto, facendo ricerca, cercando sempre più di capire e di entrare nel linguaggio che ha deciso di utilizzare.
Marchigiana di Jesi, sin da bambina manifesta una certa creatività, ama disegnare, ma come accadeva spesso in quell’epoca -Lucia è nata nel 1976- la famiglia non le permette di fare il liceo artistico. Il padre, tuttavia, aveva una grande passione per la fotografia e in casa, talvolta, allestiva una piccola camera oscura che catturava la sua fantasia.
Finite le scuole superiori, si iscrive all’ISIA di Roma. per studiare Design. Passa cinque anni stupendi in una sorta di grande laboratorio di idee. In quegli anni, formativi da ogni punto di vista, sente il bisogno di frequentare un corso di fotografia. Giorno dopo giorno si accorge che è quello l’ambito in cui vuole lavorare, in cui le piace esprimersi. Per la laurea gli amici le regalano una macchina fotografica analogica, che ancora conserva. L’ISIA a Roma è un’esperienza fondamentale, durante la quale va a fare l’Erasmus in Inghilterra, ma alla fine della scuola torna nelle Marche. Riesce a lavorare per uno studio fotografico che fa moda, dove impara a usare le luci, i flash. In quegli anni sta entrando in scena il digitale. I clienti dello studio con cui lavora sono poco più che imprese artigianali, Lucia vuole crescere. La moda, la ricerca la appassionano sempre più. Al fine settimana sottopone le sue amiche a delle sedute di fotografia, le veste con abiti comprati ai mercatini, le trucca, le pettina e poi via… si scatta al mare, in campagna, nei casali abbandonati. Inizia a crearsi un portfolio.
Compra molte riviste, le sfoglia, le studia, nei colophon trova i nomi ai quali spedire i suoi materiali. Inizialmente nessuno le risponde, poi a forza di insistere, riesce a ottenere tre appuntamenti: Elle, D la Repubblica delle donne e Kult, una rivista indipendente. Ottiene il lavoro da quest’ultima, il cui art director era Giovanni Aponte. Subito capisce che il fotografo di moda ha un ruolo importante, è il regista di tutta l’operazione che sta dietro alla documentazione di un capo, di un accessorio: deve sapersi circondare dei giusti collaboratori, modelli, stylist parrucchieri, truccatori. All’inizio la paura è tanta, ma piano piano impara, le mettono vicino una stylist brava e generosa Dinalva Barros2, che le insegna molti trucchi del mestiere, le fornisce gli indirizzi giusti, la consiglia.
Sin dagli inizi, Giacani si sente dire che il suo è un lavoro più adatto al mondo dell’arte che a quello della moda. Proprio questa è la sua cifra fare ricerca artistica con la moda.
«Creo dei mondi profondamente legati alla mia interiorità, anche se mi ispiro a quello che vedo fuori. La fotografia è per me un mezzo di espressione»3. Il progetto è un momento fondamentale, spesso realizza degli schizzi, dei disegni preparatori e qui emerge la sua formazione all’ISIA. Nulla è lasciato al caso, il suo è un lavoro costruito, pensato. «Al momento dello scatto è già tutto progettato e studiato nei minimi dettagli: la modella, il trucco, il parrucco sono frutto di una scelta ben precisa. In ognuna delle protagoniste delle mie immagini c’è qualcosa di mio»4. Il momento dello scatto è relativamente breve rispetto alla sua preparazione. Il fotografo deve decidere cosa vuole comunicare con il brand che sta fotografando, e lo deve fare attraverso tutti gli strumenti che gli sono propri, solo così è possibile coinvolgere lo spettatore.
Dopo il primo editoriale per Kult, si trasferisce a Milano, dove Dinalva le trova una stanza in affitto. Ogni lavoro è una sfida, deve arrangiarsi, trovare le location giuste a poco prezzo, costruire le scenografie da sé.
Sono i primi anni Duemila. Il suo sogno è quello di arrivare a Vogue Italia, diretto da Franca Sozzani. In quel periodo realizza molti editoriali per crearsi un portfolio. Del resto la parte più importante del suo lavoro è la ricerca personale, che entra a fare parte del suo lavoro commerciale. Dopo parecchi tentativi, riesce ad ottenere un appuntamento con Elisabetta Barracchia, editor in chief di Vogue Accessory, di cui direttore era sempre Sozzani. L’appuntamento va bene e da quel momento inizia una collaborazione serrata con la rivista. «In quel periodo ero l’unica a fare accessori indossati, altri facevano soprattutto Still Life. Il mio sogno era quello di riuscire a fare la copertina. Mi ricordo ancora quando Elisabetta Barracchia mi ha telefonato per dirmi che la copertina che avevo proposto con la principessa sui materassi era stata accettata da Sozzani: «Congratulazioni sarai la prima a firmare una “monocopertina” per Vogue accessori5!». Era il 2011. Avevo 35 anni e in quel momento ero al settimo cielo!».
Quando si parla a un’artista, a un’autrice viene istintivo chiedere quali sono i suoi modelli, i suoi punti di riferimento. Lucia è immediata nella risposta: Francesca Woodman, Mario Giacomelli, Tim Walker, Guy Bourdin, Steven Klein, Miles Aldridge. Le foto scelte per la mostra di Aosta arrivavano da un editoriale realizzato per L’Officiel Baltics. I colori, le modelle sono fredde, hanno acconciature e trucco particolari6. La luce è straordinaria. Sono opere a tutti gli effetti, non certo semplici foto per un editoriale.
Per la mostra che questo piccolo libro accompagna abbiamo scelto dieci fotografie. Di fronte al portfolio di una fotografa del suo calibro, tuttavia, è difficile scegliere soltanto dieci immagini. Ma di necessità virtù. Ogni immagine ha una storia, la sua è una fotografia narrativa piena di rimandi, di metafore, di riferimenti alla contemporaneità, ma anche ad altri tempi storici.
Killing Time (2011), pubblicata sul sito di Vogue Italia, ha lo sfondo blu acido. Sbucano telefoni da tutte le parti, la ragazza ammazza il tempo telefonando. Chiama se stessa? Oppure non chiama nessuno? Ci sono ancora le cornette che non esistono quasi più. I colori sono irreali per un’abitazione, rimandano a certo immaginario visivo alla Aldridge. Ci conducono a una dimensione metafisica di un altro tempo storico. La fotografa costruisce tutto come se fosse una realtà che non arriva da fuori ma da dentro. La modella ha un atteggiamento quasi annoiato, un po' abbandonato, un po' assente. È un’immagine di quasi quindici anni fa, ma è più che mai attuale.
Skeletons in the closet (2007), pubblicata su Kult, fa parte del secondo editoriale realizzato, una volta trasferitasi a Milano. La ragazza, assai elegante, con uno stile che rimanda agli anni ’50, sta riposando su una poltrona, indossa una mascherina per il sonno. In mano ha degli occhi, come una moderna Santa Lucia. Giuseppe Cavalli, maestro di Giacomelli, che nelle Marche, a Senigallia, ha vissuto buona parte della sua vita, negli anni Quaranta, aveva realizzato una foto con una bambola, con le orbite oculari vuote, i suoi occhi erano posati accanto a lei. Titolo: Bambola cieca. Il riferimento è sicuramente alla cecità degli uomini durante la Seconda Guerra Mondiale. Forse Lucia non conosce quell’immagine, ma vi è un’inconscia metabolizzazione.
Il titolo della serie rimanda al mondo delle apparenze di quel decennio. Molte erano le vite di facciata, un po' finte, ipocrite. In quegli ambienti popolati da uomini in cravatta e abito cucito dal sarto e da donne eleganti, a volte si nascondevano delle tragedie familiari. Ma tutto doveva essere tenuto nascosto. Anche gli altri scatti dell’editoriale sono spiazzanti. In uno la donna tiene in mano un guinzaglio al quale è legato lo scheletro di un cane. Lo specchio estratto dalla borsa per ritoccare il trucco è costituito dalla lama fiammante di un coltello.
In Under my skin (2013), pubblicata sempre sul sito di Vogue Italia, è una modella di profilo. Accanto a lei sono dei modelli di miologia veterinaria: un gatto, una pecora, un coniglio. Cosa c'è sotto la pelle di ognuno di noi? A interessarla è sempre l’interiorità. L’immagine è stata scattata nella sala operatoria della vecchia facoltà di Veterinaria di Milano, a Città Studi. Quei modelli servivano a studiare la muscolatura. La modella viene truccata in modo da sembrare una di loro, il profilo viene accentuato da un segno rosso, l’occhio è contornato di bianco. Anche gli outfit scelti, in qualche modo, ricordano parti anatomiche. Lo chignon sulla sua testa sembra una manciata di carne macinata. La bravura del fotografo, come già scritto, è quella di farsi aiutare dalle persone giuste: i parrucchieri, gli estetisti, le modelle, tutto deve essere perfettamente progettato, studiato.
Pare Lucia Mondella dei Promessi sposi la protagonista di Marionette (2022), pubblicato su Prestige Magazine. Il mondo delle marionette, dei manichini, affascina particolarmente Giacani, appassionata di Pirandello del suo teatro, dei suoi personaggi. Qui è un lavoro sull’identità, sul cambiamento. Spesso, e oggi più che mai, crediamo di essere liberi, in realtà siamo dei burattini manovrati con i fili. La modella, truccata all’antica, pare una bambola di gesso tra le marionette. Siamo al Museo Colla di Milano.
Per alcune foto l’artista ha scelto di collaborare con uno scultore, Lorenzo Possenti, che ha creato dei grandi insetti neri. L’aspetto della collaborazione con altri artisti, che si esprimono con linguaggi diversi, per Lucia è particolarmente importante. In Il Bestiaire D’Amor: Gynes, series I (2020), pubblicato su NEO2 un enorme scarabeo, di kafkiana memoria, copre buona parte del corpo nudo della modella dall’incarnato candido. Si tratta di un servizio di beauty, di make-up, composto da quattro scatti. In tutti l’insetto la ingloba, la rapisce. Possenti lo realizza in un’innaturale posizione verticale, è un ribelle alla natura. Non a caso Giacani sceglie per un servizio di questo tipo una modella con i capelli rossi, un colore di ribellione.
Sempre di Possenti è il polipo che copre la modella in Il Bestiaire D’Amor: Cefalopodi (2025). Viene posto in evidenza il rapporto tra il mondo animale, degli insetti, delle creature marine e la figura umana. C’è una soluzione? C’è una risposta? Parrebbe di no, considerate le attuali condizioni del mondo.
Sempre di quest’anno è Hi Tech Amarcord (2025), pubblicata suThe Collector. La modella è elegante, pare una signora bon ton di altri tempi. Sul suo abito sono applicate delle api. C’è qualcosa che stride, anche nel titolo: alta tecnologia e dialetto romagnolo. La pettinatura della modella mi fa tornare in mente quella di certi personaggi di Casanova di Federico Fellini. È un divertissement perfettamente costruito.
The Gilded Cage (2023), pubblicata su The Collector, è ambientata in un luogo particolare, il robivecchi Il poeta, vicino a Erba. Le ragazze, vestite con abiti Chanel, prendono il tè in mezzo agli oggetti esposti sul marciapiede, davanti al negozio. Anche loro sembrano parte di quell’insieme stravagante, bloccate come due manichini. Una con un look dark, l’altra vestita di un delicato rosa. Giacani è affascinata dalla serialità. Prendere un tè non è certo una stranezza, ma avere a disposizione quarantacinque tazze e sei teiere forse lo è. Tutto è straniante. Sono come recluse nella tana di un accumulatore seriale, schiavo, schiave degli oggetti.
Anche la protagonista di Intercellular (2021) pubblicata su The Collector è nuda. Sulle sue carni bianche sono stampe anatomiche riferite a cellule. Anche qui è la volontà di scoprire quanto è sotto la pelle. Lucia cerca, ironicamente di giocare con il rapporto dentro-fuori, con l’inconscio e il conscio.
Your Highness (2021), vostra altezza, pubblicato su L'Officiel Baltics, è un gioco di parole. La modella è talmente alta da doversi piegare. La sua pettinatura ricorda quella settecentesca delle dame di corte francesi. Potrebbe essere un rimando alla “povera” Maria Antonietta, ghigliottinata dai rivoluzionari? La ragazza è seria, dignitosa, per certi versi fredda.
Tutte le sue donne, del resto, sono forti e consapevoli, consce di quanto accade intorno a loro, e quando non lo sono è solo una giocosa quanto drammatica apparenza come in Skeletons in the closet.
1. La mostra si è tenuta nel 2024 al Centro Saint Benin di Aosta, il catalogo è stato pubblicato da Nomos Edizioni.↩︎
2. Con Dinalva Barros ha realizzato anche il lavoro per Secoli.↩︎
3. L.Giacani in conversazione con chi scrive, giugno 2025.↩︎
4. Idem.↩︎
5. Nel 2016 Franca Sozzani muore. Per due anni, prima della chiusura definitiva, la rivista viene diretta da per due anni Emanuele Farneti.↩︎
6. Parrucchiere è Giovanni Iovino, e il truccatore Simone Gammino.↩︎
Identità Surreali Istituto Secoli, Milano 2025.